LETTER TO "LA REPUBBLICA"
Roma, 20-11-03
Buonasera Direttore,
sono un giovane psicologo romano occupato da tempo nel recupero di giovani psicotici. Mi e’ capitato di assistere mercoledi’ scorso alla trasmissione Porta a Porta in cui gli onorevoli Ce’ e Mantovano cantavano le lodi della proposta di legge Fini sulle tossicodipendenze. Sono rimasto a dir poco agghiacciato dal pressappochismo della loro analisi sociale del fenomeno, specialmente in relazione alla durezza delle misure repressive proposte. Un fenomeno complesso e stratificato, denso di implicazioni etiche, sanitarie e giuridiche come quello del consumo di sostanze veniva in breve ridotto a questo:
- Le droghe fanno tutte male.
- Se le droghe fanno tutte male, non vi e’ bisogno di distinguere tra loro.
- Oltre al fatto che commette un reato, chi le consuma e’ affetto da una patologia comportamentale che richiede un intervento di recupero coatto.
- Il rifiuto del progetto di recupero proposto comporta dunque la carcerazione, severa e inappellabile.
Incredibile, ma le loro argomentazioni si riducevano unicamente a questi pochi punti, reiterati piu’ volte nel corso della serata. Cade cosi’ ogni valutazione precedentemente introdotta in merito alla storia di vita dell’ individuo, ogni distinzione tra spaccio e consumo personale, tra droghe pesanti e droghe leggere: in poche parole, la droga e’ droga e chi ne fa uso o si lascia curare e ne abiura il consumo o finisce in galera.Se partissimo dai dati oggettivi, scandalosamente trascurati dal legislatore, vedremmo come accanto al dato costante che vede la produzione ed il consumo di droghe attraversare trasversalmente tutte le culture umane in ogni epoca storica, vi e’ quello che a variare sia stata unicamente la definizione stessa del concetto di droga, manipolato nel corso del tempo dai governi a fini economici, politici e di controllo sociale. Proibizione e repressione sono state di volta in volta scatenate contro tabacco, alcool o canapa prescindendo da ogni evidenza scientifica e le pene verso i consumatori inasprite senza peraltro riuscire mai a modificarne le abitudini. Il dato certo quindi e’ che la droga si mostra capace di rispondere ad un preciso bisogno di determinati individui e per questo essi ne fanno uso, assumendone consapevolmente i rischi tanto igienici quanto penali.
I dati statistici relativi al consumo fanno temere che a breve centinaia di migliaia di operosi e pacifici cittadini rischiano di essere inseriti contro la loro volonta’ nel circuito sanitario se non addirittura in quello penale. Fra di essi vi sono studenti, professionisti, casalinghe, militari, operai e politici visto che il consumo sembra essere trasversale e nessuna categoria sociale si presenta immune dal fenomeno. Nella speranza di scuotere chi plaude alla proposta, voglio portare allora la mia esperienza che e’ l’ esperienza di un fumatore di marijuana libero e felice, perfettamente integrato nella societa’ che la legge vorrebbe difendere da quelli come me. Lavoro, pago le tasse ed esercito regolarmente il mio diritto di voto, non ho mai commesso reati e la mia vita sociale e’ ricca e piena. Sono, in altre parole, un cittadino come gli altri, libero e onesto, pienamente soddisfatto delle sue scelte. A differenza degli altri, pero’, tra poco correro’ il rischio di essere incarcerato solo perche’ la mia abitudine serale ha la colpa di chiamarsi erba e non birra. Proibendone la vendita, la legge attuale gia’ mi costringe ad acquistarla per strada ed io, che dalla strada non vengo, cerco allora di farne scorta appena posso. Potessi coltivarla in casa lo farei, ma neanche questo e’ possibile. La nuova legge, che guarda a me come ad un problema sociale e si pone come obiettivo il mio recupero, prevede ora dai due ai sei anni di detenzione per il possesso e dai sei ai venti per la coltivazione. Agli occhi dello stato, dunque, sono libero di assumere alcool o nicotina in quantita’ mortali mentre il semplice fatto di fumare una pianta del mio giardino mi lascia due sole alternative: la comunita’ di recupero o anni interi da passare in carcere senza un perche’. Ebbene, se mai verra’ per me quel momento, tra le due scegliero’ senza dubbio la seconda, rifiutando di sottoscrivere lo status di malato che qualcuno vorra’ arbitrariamente assegnarmi. Di fronte ad una nuova inquisizione, per la prima volta avverto il dovere e la necessita’ di difendere la mia liberta’ e le mie scelte da chi sia arroga il diritto di contestarle nel mio stesso interesse: combattero’ perche’ sia anche l’ ultima. Vorrei concludere con la amara constatazione che, ammessa la buona fede, sostenere una volta di piu’che questo governo fa dell’ ignoranza la sua bandiera non e’ una valutazione politica, e’ un dato oggettivo.
Buonasera Direttore,
sono un giovane psicologo romano occupato da tempo nel recupero di giovani psicotici. Mi e’ capitato di assistere mercoledi’ scorso alla trasmissione Porta a Porta in cui gli onorevoli Ce’ e Mantovano cantavano le lodi della proposta di legge Fini sulle tossicodipendenze. Sono rimasto a dir poco agghiacciato dal pressappochismo della loro analisi sociale del fenomeno, specialmente in relazione alla durezza delle misure repressive proposte. Un fenomeno complesso e stratificato, denso di implicazioni etiche, sanitarie e giuridiche come quello del consumo di sostanze veniva in breve ridotto a questo:
- Le droghe fanno tutte male.
- Se le droghe fanno tutte male, non vi e’ bisogno di distinguere tra loro.
- Oltre al fatto che commette un reato, chi le consuma e’ affetto da una patologia comportamentale che richiede un intervento di recupero coatto.
- Il rifiuto del progetto di recupero proposto comporta dunque la carcerazione, severa e inappellabile.
Incredibile, ma le loro argomentazioni si riducevano unicamente a questi pochi punti, reiterati piu’ volte nel corso della serata. Cade cosi’ ogni valutazione precedentemente introdotta in merito alla storia di vita dell’ individuo, ogni distinzione tra spaccio e consumo personale, tra droghe pesanti e droghe leggere: in poche parole, la droga e’ droga e chi ne fa uso o si lascia curare e ne abiura il consumo o finisce in galera.Se partissimo dai dati oggettivi, scandalosamente trascurati dal legislatore, vedremmo come accanto al dato costante che vede la produzione ed il consumo di droghe attraversare trasversalmente tutte le culture umane in ogni epoca storica, vi e’ quello che a variare sia stata unicamente la definizione stessa del concetto di droga, manipolato nel corso del tempo dai governi a fini economici, politici e di controllo sociale. Proibizione e repressione sono state di volta in volta scatenate contro tabacco, alcool o canapa prescindendo da ogni evidenza scientifica e le pene verso i consumatori inasprite senza peraltro riuscire mai a modificarne le abitudini. Il dato certo quindi e’ che la droga si mostra capace di rispondere ad un preciso bisogno di determinati individui e per questo essi ne fanno uso, assumendone consapevolmente i rischi tanto igienici quanto penali.
I dati statistici relativi al consumo fanno temere che a breve centinaia di migliaia di operosi e pacifici cittadini rischiano di essere inseriti contro la loro volonta’ nel circuito sanitario se non addirittura in quello penale. Fra di essi vi sono studenti, professionisti, casalinghe, militari, operai e politici visto che il consumo sembra essere trasversale e nessuna categoria sociale si presenta immune dal fenomeno. Nella speranza di scuotere chi plaude alla proposta, voglio portare allora la mia esperienza che e’ l’ esperienza di un fumatore di marijuana libero e felice, perfettamente integrato nella societa’ che la legge vorrebbe difendere da quelli come me. Lavoro, pago le tasse ed esercito regolarmente il mio diritto di voto, non ho mai commesso reati e la mia vita sociale e’ ricca e piena. Sono, in altre parole, un cittadino come gli altri, libero e onesto, pienamente soddisfatto delle sue scelte. A differenza degli altri, pero’, tra poco correro’ il rischio di essere incarcerato solo perche’ la mia abitudine serale ha la colpa di chiamarsi erba e non birra. Proibendone la vendita, la legge attuale gia’ mi costringe ad acquistarla per strada ed io, che dalla strada non vengo, cerco allora di farne scorta appena posso. Potessi coltivarla in casa lo farei, ma neanche questo e’ possibile. La nuova legge, che guarda a me come ad un problema sociale e si pone come obiettivo il mio recupero, prevede ora dai due ai sei anni di detenzione per il possesso e dai sei ai venti per la coltivazione. Agli occhi dello stato, dunque, sono libero di assumere alcool o nicotina in quantita’ mortali mentre il semplice fatto di fumare una pianta del mio giardino mi lascia due sole alternative: la comunita’ di recupero o anni interi da passare in carcere senza un perche’. Ebbene, se mai verra’ per me quel momento, tra le due scegliero’ senza dubbio la seconda, rifiutando di sottoscrivere lo status di malato che qualcuno vorra’ arbitrariamente assegnarmi. Di fronte ad una nuova inquisizione, per la prima volta avverto il dovere e la necessita’ di difendere la mia liberta’ e le mie scelte da chi sia arroga il diritto di contestarle nel mio stesso interesse: combattero’ perche’ sia anche l’ ultima. Vorrei concludere con la amara constatazione che, ammessa la buona fede, sostenere una volta di piu’che questo governo fa dell’ ignoranza la sua bandiera non e’ una valutazione politica, e’ un dato oggettivo.